Ne sentiamo parlare sempre di più, ma in realtà il termine experience è stato introdotto nelle teorie di Marketing già negli anni '50. È vero però che con l'arrivo del nuovo millennio e del consumatore postmoderno le aziende hanno spostato l’attenzione dal prodotto al valore d’uso e all’esperienza di consumo. Brian Fetherstonhaugh, presidente e Ceo di Ogilvy & Mather propose nel 2009 di trasformare le 4P fissate da Kotler nelle 4E. Secondo la sua teoria la P di PRODUCT viene sostituita proprio dalla E di EXPERIENCE, declinabile anche in entertainment o engagement. Scopriamo insieme cos'è esattamente un'esperienza e come sta trasformando gli spazi di vendita.
La natura dell'esperienza
Se il Marketing tradizionale aveva come obiettivo la vendita di un prodotto esaltando le sue caratteristiche fisiche e funzionali, il Marketing esperienziale valorizza il momento di incontro tra marchi e persone puntando alla creazione di connessioni empatiche. La parola esperienza racchiude l'idea di qualcosa che accade, che ha cioè una durata e una natura dinamica.
Per definire l'esperienza può essere sicuramente utile fare un passo indietro e menzionare Bernd Schmitt, considerato il padre della disciplina. Nel saggio Experiential Marketing Schmitt ha individuato le cinque dimensioni dell'esperienza: percezione sensoriale (sense), sentimenti ed emozioni (feel), processi cognitivi (think), azioni e comportamenti (act) e relazioni (relate). Secondo lo studioso la chiave di volta per proporre esperienze di qualità consisterebbe nel riuscire a proporre più dimensioni in sovrapposizione. Schmitt spiega inoltre che l’esperienza è una stimolazione, quindi indotta e può essere progettata dai marchi come leva strategica.
Sempre nell’ambito della letteratura di Marketing è d’obbligo il riferimento a Pine II e Gilmore. Nel saggio The Experience Economy gli studiosi sostengono come il marketing esperienziale sia il risultato del periodo storico in cui viviamo. La quarta era dell’economia è proprio quella in cui i beni e i servizi da soli non sono sufficienti per rendere i consumatori soddisfatti e gratificati. La sfida del Marketing contemporaneo sarebbe quindi quella di produrre valore proprio attraverso gli atti di consumo, includendo l’esperienza nel modello di business.
Nuovi bisogni e nuove aspettative
Dalle grandi superfici dei centri commerciali ai rivenditori omnicanale, il Marketing esperienziale si diffonde in tutte le forme del retail. Perché se da una parte è cambiato l’approccio alle scelte e alle decisioni d'acquisto, dall'altra è diventato necessario ripensare i modi e i luoghi di vendita.
Sono cambiate anche le aspettative dei consumatori nei confronti dello store fisico nel quale non si va semplicemente per concludere un acquisto. Le persone vogliono potersi immergere e vivere in prima persona il mondo del brand con contenuti rilevanti in grado di accrescere l’intensità del momento vissuto, dei ricordi e del valore percepito.
Pensando alle esperienze retail, molto spesso le identifichiamo con gli stimoli legati alla creazione di atmosfere multisensoriali, l'utilizzo della tecnologia e di effetti speciali. Eppure i retailer dovrebbero focalizzarsi sulla natura più intima e profonda della sfera emotiva e delle connessioni umane, le micro interazioni, i percorsi, le attività e i servizi collaterali. Insomma: anche le semplici componenti del mondo retail, se ben progettate, possono creare ambienti di shopping rilassati e piacevoli, pronti a soddisfare bisogni estetici e edonistici.
Dare un nuovo senso agli store fisici
L’esperienza sta diventando sempre più rilevante ma forse non si è ancora pienamente consapevoli del suo potenziale di trasformazione negli spazi brick & mortar. Puntare alle esperienze può avere solo risvolti positivi: crea empatia, aumenta il coinvolgimento, incuriosisce, motiva e ispira. In pratica: rafforza il processo di fidelizzazione e identificazione con il marchio, stimolando reazioni attraverso logiche non razionali ma più profonde.
Riconoscere la centralità dell’esperienza significa elevare il consumatore a un ruolo attivo e partecipativo e trasformare lo store in luogo di relazioni, condivisione e celebrazione. Cade quindi l’assioma secondo cui la finalità del negozio debba essere la vendita di prodotti. Il punto vendita è uno dei touchpoint con i quali si costruisce con i consumatori un rapporto crossmediale che durerà nel tempo. L’acquisto avverrà successivamente nei tempi e nelle modalità a loro più congeniali. Ha quindi ragione Seth Godin quando scrive “le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia".
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