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Un tempo gli store erano gli unici luoghi dove avvenivano le vendite e dove si poteva realmente misurare il valore commerciale e l’impatto del proprio brand. Oggi il retail è cambiato dando vita a un nuovo paradigma che ha portato alla trasformazione dei negozi tradizionali, da luoghi di pura e semplice transazione a luoghi di comunicazione e relazione.
In che senso? Il “profeta” del retail Dough Stephens sostiene da tempo che i negozi offline siano diventati un vero mezzo di comunicazione con un significativo valore mediatico. Un’evoluzione che ribalta la prospettiva e stimola i marketers del retail a rimettersi in gioco totalmente.
Benvenuti nell’era del retail-media
Con internet e con il continuo utilizzo del mobile, la distribuzione non rappresenta più il nodo centrale delle strategie retail. Ovunque ci troviamo possiamo ordinare e ricevere - in poco tempo - qualsiasi cosa. E questo grazie ai grandi retailer nati online come Amazon, eBay e Zalando, che iniziano ad adottare un approccio omnicanale e aprono store fisici per comunicare in modo diretto con il consumatori.
Ma come si pensa ad uno store come a un media? Innanzitutto diventa fondamentale mettere le persone al centro, abbinando elementi ludici ad una forte componente di servizio, ovvero progettando stimoli fisici, sensoriali ed emotivi e utilizzando nuovi modi per far scoprire, provare e pagare i prodotti.
Disney, che negli scorsi anni aveva subito un calo delle vendite (e chiuso purtroppo alcuni store), nel 2017 ha iniziato la sua rivoluzione per rendere i negozi sempre più simili a parchi tematici, coinvolgendo i bambini in un’esperienza magica attraverso la creazione di spazi ludici per giocare e interagire con i personaggi Disney in costume.
La rivoluzione dei nuovi format
Nonostante un po’ di resistenza da parte dei brand, la mentalità sta cambiando. Dal Freeman Global Brand Experience Study del 2017, che ha intervistato managers Europei, Nord Americani e Asiatici, risulta che il 60% delle aziende ritiene lo store fondamentale per stabilire una relazione con il consumatore e il 90% conferma la brand experience come il metodo migliore per creare interazione ed engagement.
Pioniere in questo rinnovamento del retail è stato il negozio Story di New York, fondato dalla giovane Rachel Shechtman. Story è l’evoluzione del concept store: uno spazio che si reinventa periodicamente come una galleria, cambiando il tema e gli oggetti in vendita. Offre collezioni esclusive, attivazioni e collaborazioni importanti, progettate per distinguersi sui social media. Il successo del format ha convinto anche un big come Macy’s a replicare, all’interno dei suoi department store, altri spazi a marchio Story.
E c’è chi di questo nuovo concept dello spazio retail ne ha fatto un business: b8ta è un’azienda americana, specializzata nella creazione di negozi che chiama “retail as a service”. Qui i brand possono decidere di lanciare i nuovi prodotti, per testarli e analizzare la brand experience dal vivo. Tutto è iniziato come un negozio sperimentale aperto a Palo Alto nel 2018, ma oggi b8ta è la più grande rete di negozi esperienziali al mondo.
Let’s get phygital!
Il termine “phygital” nasce dall’unione tra le parole “physical” e “digital” e rappresenta l’insieme di attività in cui fisico e digitale si ibridano per favorire l’interazione fra brand e persone. Assistiamo quindi ad un retail che si trasforma e diventa sempre più phygital: l’offline è diventato un nuovo potente canale multimediale e sui media digitali basta un click per acquistare.
Il nuovo consumatore desidera vivere un’esperienza di onlife commerce, in cui l’acquisto è solo la parte finale di un processo relazionale. In questa prospettiva ai retailer viene chiesto di adottare un approccio omnicanale, ovvero una strategia integrata che rende appagante i touchpoint del mondo reale e propone l'esperienza complessiva come unico servizio.
Più forte sarà l’engagement, più positiva sarà l'esperienza, maggiore sarà il potere del brand di riferimento. Per noi la miglior sintesi che spiega come pensare e creare uno store fisico è quella di Freeman: “Make it memorable, make it relevant, make it personal and make it for the senses”.
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